Il ritmo della vita contadina è sempre stato scandito dal ciclo naturale delle stagioni: ai mesi di lavoro intenso seguivano periodi più tranquilli, dedicati al riposo e alla socialità. In autunno, tra le attività più attese vi era la scartusà, una tradizione profondamente radicata nella cultura rurale delle “ville”.
Si trattava di un appuntamento serale all’aperto, che coinvolgeva l’intera comunità e offriva occasioni preziose di incontro e condivisione, soprattutto per i più giovani.
Seduti per terra attorno a un ordinato mucchio di melica sull’aia, i partecipanti sgranavano le pannocchie, privandole del cartoccio con l’aiuto di un semplice attrezzo appuntito. Le foglie venivano gettate da un lato, le pannocchie raccolte in ceste. Ogni persona, indipendentemente dall’età, aveva un ruolo definito e rispettato secondo un rituale antico, tramandato nel tempo.
Gli anziani, con racconti, filastrocche e memorie, incarnavano la figura del saggio, contribuendo alla trasmissione orale delle tradizioni e alla salvaguardia della memoria collettiva.
Il coinvolgimento di generazioni diverse arricchiva l’esperienza e ne faceva un autentico spaccato della vita contadina. Una caratteristica, questa, comune a molte pratiche della civiltà rurale, dove la mescolanza tra età, ruoli e vissuti costituiva una vera ricchezza, in contrasto con l’attuale tendenza a creare gruppi sociali omogenei e separati per età, genere o professione.
Tra i giovani, c’era chi ascoltava affascinato i racconti, soprattutto quelli più avventurosi o paurosi, e chi invece approfittava dell’atmosfera per attirare l’attenzione di qualche ragazza, con scherzi e manovre tra i cartocci che raramente passavano inosservate. La possibilità di fare nuove conoscenze o di vivere un’avventura romantica attirava anche ragazzi dalle località vicine.
Nonostante le ristrettezze economiche dell’epoca, lo spirito era allegro e conviviale. Le serate erano animate da canti spensierati, dal piacere della compagnia e da piatti semplici ma gustosi: le donne, oltre a partecipare al lavoro, preparavano polenta e altre specialità, servite al termine insieme a buon vino, a coronamento della fatica condivisa.
Purtroppo, come molte altre consuetudini della civiltà contadina, anche la scartusà è andata scomparendo. L’introduzione delle macchine agricole e il cambiamento del tessuto sociale hanno trasformato radicalmente la vita nei borghi rurali. Eppure, l’idea di rivivere per qualche ora il fascino delle vecchie tradizioni non è andata del tutto perduta.
A riportare in vita questo antico rito fu Giancarlo Passera, originario dei Bignoni e appassionato di storia locale, che negli anni Novanta – a partire dal 1995 – organizzò quattro edizioni consecutive della scartusà, nell’ambito dell’Azienda Agrituristica Cergallina, nel Comune di Vernasca.
L’ambientazione ideale fu offerta da una struttura coperta ma aperta sui lati lunghi, perfetta per proteggere i partecipanti in caso di pioggia senza sacrificare l’atmosfera. Il quinto incontro, però, fu cancellato all’ultimo momento a causa dell’azione distruttiva dei cinghiali, che devastarono il campo di melica destinato a fornire le pannocchie, materia prima indispensabile per la riuscita dell’evento.